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Trifolium pratense pratense L.
Trifoglio pratense

SISTEMATICA E TASSONOMIA
Divisione: Magnoliophyta
Classe: Magnoliopsida (Rosidae)
Ordine: Fabales
Famiglia: Fabaceae
Gruppo estremamente polimorfo, è verosimile che abbia il suo centro di origine sulle montagne della penisola e Sicilia dove in effetti raggiunge la massima variabilità. Oltre alla nominale, in Italia si riconoscono almeno 2 altre sottospecie (tutte assenti in Emilia-Romagna):
- Trifolium pratense subsp. nivale (W.D.J. Koch) Ces., con corolla di colore lattiginoso, soffusa di roseo verso l’apice. Pianta robusta, densamente pelosa, stipole ovate con resta lunga ¼ - 1/6 della parte espansa. Capolini apicali spesso appaiati.
- Trifolium pratense subsp. semipurpureum (Strobl) Pignatti, con piccoli capolini di colore roseo-violetto. Pianta di dimensioni modeste (5-10 cm) con densa pelosità apressata, stipole ovate con resta lunga ¼ - 1/6 della parte espansa. Capolini sempre singoli.

CARATTERISTICHE
La sottospecie nominale è pianta erbacea di portamento variabile, ma sempre con pelosità ridotta o nulla.
È pianta perenne anche se di longevità limitata. La sua durata, mutevole a seconda dei tipi, non supera generalmente i due anni ma in condizioni favorevoli le piante possono sopravvivere per 4 o più anni.
La radice è robusta, fittonante con numerose e sottili branche laterali e può approfondirsi notevolmente. Come tutti i trifogli, ha capacità di fissare l'azoto atmosferico come conseguenza alla simbiosi con batteri del genere Rhizobium. Tanto sulla radice principale quanto sulle branche laterali sono inseriti, per un'estremità, numerosi tubercoli di forma cilindrica e della lunghezza di qualche millimetro, dovuti alla presenza del rizobio specifico (Rhizobium trifolii). Il trifoglio pratense tubercolizza più della medica.
Gli steli, eretti o suberetti, prendono origine da una "corona" e, in buone condizioni di vegetazione, raggiungono i 70-75 cm di lunghezza. Essi possono essere pieni o cavi. Alcuni tipi di trifoglio pratense hanno steli che divengono cavi dopo la fioritura. I nodi basali sono molto ravvicinati e da essi si originano le ramificazioni ed i ricacci.
Le foglie sono trifogliate ed alterne e sono portate da piccioli piuttosto corti e robusti che presentano, alla base, due stipole molto pronunciate caratterizzate da venature evidenti di colore verde-violetto e terminanti bruscamente in un'appendice filiforme (resta) lunga 1/3 - 1/4 . Le foglioline sono ovali od ellittiche, a margine intero e sono inserite con piccioli molto corti e di uguale lunghezza. Esse sono generalmente caratterizzate dalla presenza di un tipico disegno biancastro a forma di "V" di estensione variabile.
I fiori della sottospecie nominale sono con corolla di colore roseo-violetto, numerosi, sessili, riuniti in capolini generalmente solitari, globosi, portati da un corto peduncolo alla base del quale si trovano due foglie, opposte anch'esse, con picciolo molto raccorciato. Il numero di fiori per capolino è molto variabile, da 50 a 250. Il calice ha cinque denti, quello inferiore di lunghezza quasi doppia degli altri. La corolla forma un lungo stretto tubo, originato dalla fusione della parte basale dei petali, della lunghezza di 1-1,2 cm. Gli stami sono diadelfi, l'ovario supero, breve, con stilo lungo e sottile. L'ovario contiene due ovuli (eccezionalmente tre o quattro), ma solamente uno di questi dà origine al seme.
Il frutto è un diclesio, una camara indeiscente inclusa nel calice, con pericarpo membranoso ed un seme di 1,3-2,1 mm, irregolarmente ovale, leggermente appiattito, di colore giallo chiaro ma più o meno intensamente colorato in violetto, con radichetta pronunciata. Il peso di 1.000 semi varia tra 1,5 e 2 g ma, più normalmente, tra 1,6 e 1,8 g.
Impollinatori ideali sono specie del genere Bombus ma anche le api svolgono un lavoro soddisfacente.
La germinazione si considera avvenuta quando il seme ha emesso la radichetta e si è avuta l'espansione delle foglie cotiledonari. Alla germinazione fa seguito l'emissione della prima foglia vera che è unifogliata e rotondeggiante. In un secondo momento viene emessa la prima foglia trifogliata alla quale fanno seguito le altre. Nel frattempo, le gemme ascellari delle foglie cotiledonari e delle prime foglie vere danno luogo alla formazione di ramificazioni con nodi basali molto ravvicinati che, nell'insieme, formano la cosiddetta "corona"; in caso di taglio, da questa prenderanno origine altre ramificazioni ed i getti che andranno a costituire la produzione del taglio successivo. Il tipo di accrescimento dell'ipocotile condiziona la posizione della corona rispetto alla superficie del terreno. Anche nel trifoglio pratense si verifica, infatti, un "accrescimento contrattile" in virtù del quale e per l'azione congiunta del fittone, la corona viene abbassata al di sotto del livello del suolo. In questa prima fase la pianta di trifoglio è caratterizzata quasi esclusivamente dalla presenza di foglie. Solamente in un secondo momento, allorché la differenziazione delle branche basali è avvenuta, prende l'avvio l'accrescimento degli steli che prosegue con la differenziazione delle infiorescenze e cioè con l'avvio della fase riproduttiva.
La luce può influire sull’adattamento e la fisiologia del trifoglio pratense per tre aspetti: fotoperiodo, intensità e qualità.
In linea generale lo spostamento verso nord di una popolazione originatasi a basse latitudini, comporta un aumento dell’accrescimento, mentre si verifica il fenomeno inverso nel caso opposto. Sembra tuttavia che fra reattività al fotoperiodo e temperatura sussista una forte interazione che può modificare sostanzialmente il tipo di risposta.
Relativamente al secondo aspetto, è sufficiente osservare che un aumento di intensità luminosa provoca un incremento dello sviluppo o dell’accrescimento. Tale effetto favorevole tende però a ridursi mano a mano che la temperatura si approssima ai limiti superiori tollerati dalla specie.
In quanto ad esigenze climatiche, nell’ambito del trifoglio pratense è riscontrabile una grande eterogeneità di tipi. Tale diversità non è che la conseguenza dell’azione della selezione naturale la quale, in presenza di una variabilità genetica molto elevata, ha favorito il costituirsi di popolazioni caratterizzate tra l’altro da fabbisogni di fotoperiodo e di temperatura più o meno differenziati, le quali hanno reso possibile il processo di colonizzazione di sempre nuovi territori.
Dal punto di vista agronomico, queste popolazioni vengono distinte in due grandi gruppi:
a) "tipi a più tagli" ("medium types" degli anglosassoni), dotati di rapido sviluppo, elevata precocità e scarsamente resistenti al freddo;
b) "tipi ad un solo taglio" ("mammouth types" degli anglosassoni), a sviluppo piuttosto lento, tardivi e molto resistenti al freddo.
Questa suddivisione è ormai universalmente accettata, anche se vi è chi individua un terzo gruppo rappresentato da "tipi medi" di sviluppo e precocità intermedi.
In realtà, una netta separazione fra i vari gruppi non è possibile in quanto, sia dal punto di vista morfologico come da quello citologico, i due tipi sono uguali. Inoltre, come hanno messo in evidenza le osservazioni fin qui accumulate da vari ricercatori su migliaia di ecotipi provenienti da tutto il mondo, tanto la velocità con cui la pianta differenzia i vari organi vegetativi, quanto la rapidità con la quale prende l’avvio la fase riproduttiva o, in altri termini, la precocità di fioritura, variano in maniera continua e, mentre la prima sembra essere regolata principalmente dalla temperatura, sulla seconda interviene in modo determinante il fotoperiodo.
Più precisamente, i tipi ad un solo taglio, originatisi alle latitudini più elevate, iniziano a fiorire solamente con fotoperiodo lungo; ciò significa che essi raggiungono lo stadio vegetativo più opportuno per il taglio solamente una volta nell’arco della stagione vegetativa.
Diversamente, i tipi a più tagli, caratteristici delle latitudini più basse, hanno, in quanto a fotoperiodo, esigenze più limitate. Ciò li mette in condizione di fiorire più volte durante la stagione vegetativa e, quindi, di fornire più tagli. Questa diversità di comportamento, tuttavia, non si riflette solamente sulle modalità di utilizzazione dei due tipi ma sembra condizionare marcatamente la loro resistenza al freddo o, in altri termini, la loro sopravvivenza invernale e quindi, la loro longevità.
Nel trifoglio pratense durante le fasi di sviluppo e di accrescimento che precedono l’inizio della fase riproduttiva si verifica un’intensa sintesi di carboidrati i quali vengono immagazzinati negli organi di riserva (radici) e raggiungono il massimo della concentrazione nel momento della fioritura per decrescere poi rapidamente una volta avvenuta l’allegagione.
Questa osservazione, oltre a mettere in evidenza che, agli effetti dei carboidrati disponibili, lo sviluppo vegetativo e quello riproduttivo sono due processi di opposto effetto, può anche spiegare, almeno in parte, perché i tipi ad un solo taglio siano in grado di sopravvivere meglio al secondo inverno rispetto ai tipi ai più tagli e siano quindi più longevi. Essi, infatti, sulla base della risposta al fotoperiodo dianzi illustrata, una volta tagliati ricacciano, ma non sono più in grado di raggiungere lo stadio di inizio fioritura a fine estate o all’inizio dell’autunno.
Tuttavia, continuano a vegetare allo stadio di rosetta e, come conseguenza, accumulano carboidrati nella radice e si presentano all’inizio della stagione invernale ricchi di sostanze di riserva. Diversamente, i tipi a più tagli, producendo fiori ed allegando semi anche alla fine della stagione vegetativa, giungono all’inizio dell’inverno senza una sufficiente dotazione di carboidrati di riserva, sono più soggetti ai danni del freddo e, pertanto, sopravvivono in minor misura.
Questa situazione, evidentemente, è resa ancor più grave da eventuali attacchi di malattie o di insetti, che possono essersi verificati a carico dell’apparato radicale nel corso della stagione. La radice principale si estende per oltre un metro in profondità ma le piante più anziane hanno molte radici avventizie originare dalla corona. I fusti talvolta radicano ai nodi quando in stretto contatto con una superficie del terreno umida.
H scap - Emicriptofite scapose
Antesi: Gennaio÷Dicembre
Resiste molto bene al freddo e preferisce i terreni argillosi. Adatta a tutti i tipi di tessitura: da fine a grossolana, anche se quest'ultima è meno adatta. Non ha resistenza all'anossia

COROLOGIA E DISTRIBUZIONE GENERALE
Subcosmop. - In quasi tutte le zone del mondo, ma con lacune importanti lacune.
Distribuzione in Italia: La sottospecie nominale è presente in quasi tutte le regioni, ad eccezione di Campania, Puglia, Calabria Sardegna.

DISTRIBUZIONE E HABITAT IN EMILIA-ROMAGNA
Prati, pascoli, incolti.

SEGNALAZIONI NELL'OASI
DATA STAZIONE RILEVATORE NOTE
09/04/2017 Prato incolto davanti a Casa Natura (dal bombolone) Sirotti Maurizio Visita guidata flora spontanea
09/06/2013 Prati incolti in libera evoluzione lungo sentiero Sirotti Maurizio Visita addestramemento flora spontanea
05/04/1989 15/06/1989 Praterie e Calanchi di Roncaglio Andrea Serra (Ecosistema)

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